Opinione

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La dubbia legalità dell’acquisto di followers sui social network

Acquistare followers sui social è una pratica molto comune, semplice e, soprattutto, economica. Con poche decine di Euro, infatti, è possibile acquistare migliaia di followers, oltre a “mi piace” e commenti. 

Spesso tale pratica è associata ai vezzi di semplici privati un po’ troppo vanitosi, interessati a dare un’immagine popolare di sé e ad appagare il proprio ego.

Per quanto discutibile sul piano morale, tale pratica non pone rilevanti questioni sotto una prospettiva giuridica: qualche follower o “mi piace” in più, in fondo, non nuoce nessuno.

Analogo discorso non può farsi con riferimento ai professionisti e alle persone giuridiche.

In tali casi i rischi insiti alla compravendita di followers e affini sono ingenti e rilevanti.

Invero, le aziende che vendono prodotti e servizi, acquistando followers e derivati, rischiano di porre in essere delle vere e proprie pratiche commerciali illecite a danno dei consumatori e della concorrenza. Il consumatore, invero, potrebbe essere indotto ad acquistare con maggior favore dal cedente con più followers, o da quella i cui prodotti registrano il maggior numero di “mi piace” o commenti favorevoli.

Da un punto di vista teorico, se si volesse portare il tutto alle estreme conseguenze, tale pratica potrebbe anche integrare (con un notevole sforzo sussuntivo) il reato di cui all’art. 515 c.p. La disposizione, infatti, punisce chiunque consegna ad un acquirente un bene diverso da quello acquistato anche solo per una qualità inferiore. Il senso è quello di garantire all’acquirente l’onestà e la correttezza del venditore in un’ottica più generale di tutela dell’economia pubblica e della buona fede negli scambi commerciali.

Analogo discorso vale per il professionista: se questi ha numerosi followers, like e commenti l’immagine che restituisce di sé è che sia affermato, che sappia fare il suo lavoro e che registri ampio consenso.

Con riferimento al professionista, inoltre, vale la pena sottolineare che solitamente lo stesso è iscritto ad un albo o ad un ordine professionale e che, dunque, è sottoposto al rigido rispetto delle norme deontologiche connesse alla sua professione.

Per quanto riguarda gli avvocati, nel dettaglio, lo stesso CNF fornisce un monito e un richiamo all’attenzione dei suoi iscritti, infatti, con il parere n. 49/2011 è espresso in linea generale sull’utilizzo dei social da parte degli avvocati: “all’avvocato è evidentemente garantita sulla rete la più piena libertà di espressione e comunicazione con l’eccezione di contegni che portino ad una elusione del principio di correttezza dell’informazione, nonché alla violazione dei criteri di trasparenza e veridicità”.

Tutto ciò premesso, mi pare di poter affermare che, per quanto la compravendita di followers e affini non abbia ancora manifestato problemi concreti e tangibili, essa costituisca comunque una pratica moralmente scorretta, con rilevanti (e ancora inesplorate) criticità da un punto di vista anche giuridico, specialmente per chi entra in contatto il soggetto acquirente.  



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