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Digitalizzazione del processo civile e Ufficio del Giudice di Pace: un primo bilancio

È ormai trascorso oltre un anno dall’entrata in vigore della riforma Cartabia che, come noto, ha toccato molti aspetti del diritto processuale civile, riformando in gran parte il rito ordinario. Si vuole in questa sede soffermarsi brevemente unicamente su un aspetto, ed in particolare sulla digitalizzazione del processo.

In particolare, fermo restando che il processo civile è ormai da molti anni già in gran parte telematico, la Riforma ha inteso accelerare questo trend già in atto, ampliando il novero delle attività che devono essere svolte unicamente mediante strumenti informatici.

Ci si riferisce, in particolare, alla digitalizzazione degli Uffici del Giudice di Pace.

Da un lato, infatti, ne è stata aumentata la competenza per valore: per le controversie relative a beni mobili si passa infatti dai precedenti Euro 5.000 agli attuali Euro 10.000, che diverranno, dal 31 ottobre 2025, ben Euro 30.000 (per non parlare della competenza per danni da circolazione di veicoli e natanti, ora aumentata ad Euro 25.000, che diverrà poi di Euro 50.000).

Dall’altro lato, la Riforma Cartabia ha tentato di portare il progresso digitale che già interessa il Tribunale anche in questo Ufficio, dato che, proprio per la sua natura di tribunale “minore”, delegava gran parte delle attività e dei documenti al mondo cartaceo.

Ad avviso di chi scrive, però, quantomeno questa parte della Riforma Cartabia è senza successo e ciò per diversi motivi.

In primo luogo, è evidente che gli Uffici non sono materialmente pronti a gestire la mole di depositi che arrivano quotidianamente ora unicamente in via telematica. Si pensi che presso il nostro Foro di Milano le attese per la visione dei depositi e delle comunicazioni Pec superano ad oggi i due mesi. Ciò significa che, una volta depositato l’atto nell’interesse del proprio Cliente, dovranno trascorrere diversi mesi solamente affinché lo stesso venga assegnato a un Giudice di Pace che possa esaminarlo.

Inoltre, gli Uffici devono comunque restare aperti al pubblico, in quanto in molti procedimenti non vi è la necessità di assistenza degli avvocati: il personale deve dividersi, nello stesso tempo, fra due ruoli, di cui uno – quello legato al digitale – è diventato molto più complesso e impegnativo da gestire.

Da ultimo, anche la Riforma ha ulteriormente appesantito gli Uffici modificando le modalità di opposizione a decreto ingiuntivo. Ora, infatti, i giudizi di opposizione devono essere instaurati con ricorso (e non più con atto di citazione), che deve ovviamente essere depositato unicamente in via telematica tramite Pec entro 40 giorni dalla notifica dell’ingiunzione.

Ebbene, se però le Cancellerie impiegano due mesi per visionare le Pec, il gioco è fatto: la parte che ha ottenuto il decreto ingiuntivo è in un vero e proprio limbo, dato che non può venire a sapere se sia stata interposta opposizione e non può dunque agire per il recupero forzoso del proprio credito. L’unica speranza di tempestiva conoscenza è rimessa dunque al buon cuore dell’avvocato dell’opponente, che dovrebbe, in buona fede, contattare (quantomeno telefonicamente) l’avvocato della controparte per avvisarlo.

In conclusione, sebbene gli intenti della Riforma Cartabia fossero apprezzabili e si inserissero comunque in un percorso ormai obbligato di digitalizzazione dei procedimenti avanti il Giudice di Pace, le criticità sono molte. L’unica soluzione, ad avviso di chi scrive, è quella di un forte aumento di organico di tutti gli Uffici del Giudice di Pace, così che la Riforma Cartabia possa veramente ritrovare il suo scopo e agevolare il processo civile.



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