ATTUALITÀ – L’utilizzo della Cosa Comune

ATTUALITÀ – L’utilizzo della Cosa Comune

L’Utilizzo della Cosa Comune in Materia Condominiale

Il condominio si caratterizza per la compresenza di parti oggetto di proprietà individuale (le singole unità immobiliari) e parti oggetto di proprietà comune (ad esempio, il cortile, il seminterrato, ecc.).

Ciascun condomino esercita un potere immediato e assoluto sulla propria unità immobiliare e, allo stesso tempo, un potere d’uso sul bene comune,  a patto di rispettarne la destinazione economica e di non impedire agli altri condomini di farne parimenti utilizzo secondo il loro diritto.

Si tratta del principio espresso all’art. 1102 c.c., il quale, seppur dettato in materia di comunione ordinaria, è certamente applicabile anche in ambito condominiale.

Sulla scorta di quanto detto, dunque, il singolo condomino può utilizzare il bene comune senza dover previamente ottenere l’autorizzazione dell’assemblea condominiale.

In alcuni casi, tuttavia, quando l’utilizzo del bene comune comporti un’ingerenza nello stesso piuttosto accentuata (innovazioni, atti di straordinaria amministrazione, atti di disposizione materiale e giuridica), il Codice civile, all’art. 1136, V, c.c., prevede che il condomino possa procedervi solo previa autorizzazione della maggioranza qualificata (o dell’unanimità) dell’assemblea.

Come intuibile, assume rilevanza pratica enorme l’individuazione delle condotte che il singolo condomino può porre in essere sulla cosa comune senza dover necessariamente passare dall’assemblea.

Sul punto la legge non aiuta molto, limitandosi, come detto, all’utilizzo di clausole generali quali i “destinazione della cosa” e “impedimento al pari utilizzo” della stessa.  

Stante quanto sopra, non deve stupire che l’intervento della giurisprudenza sia stato costante e piuttosto ingerente. La Corte di Cassazione, invero, ha più volte tentato di dare colore alle locuzioni piuttosto grige e fumose poste dal Codice civile.

Il criterio e l’obiettivo seguito dalla giurisprudenza è stato quello di bilanciare il diritto di ciascun condomino con l’interesse individuale del singolo proprietario di voler trarre il massimo vantaggio per sé e per la propria unità immobiliare.

In numerose pronunce, alla ricerca del corretto bilanciamento tra i suddetti interessi, la Corte di Cassazione ha riconosciuto prevalenza a quello individuale tutte le volte in cui l’utilizzo del bene comune da parte del condomino trovi essenza e fine nella necessità di realizzare un proprio diritto avente carattere e copertura costituzionale. Ad esempio, si è ritenuto la non necessarietà della preventiva autorizzazione assembleare per  l’attività del singolo condomino che abbia posto nel sottosuolo del cortile condominiale tubature per lo scarico fognario e l’allaccio del gas a vantaggio della propria unità immobiliare (Cass. civ. 18861/2015). Parimenti, è stata sancita la liceità dell’utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori (cfr., ex plurimis, Cass. Civ., 9 luglio 1973 n. 1975; Cass. Civ., 3 aprile 1968 n. 1026; Cass. 29 dicembre 1970 n. 2780; Cass. Civ., n. 1162/1999).

A ben vedere si tratta di fattispecie che, seppur astrattamente presupponenti un’ingerenza del singolo condomino nella cosa comune in maniera piuttosto forte, in concreto vengono consentite e favorite in nome di un più importante interesse: quello alla salute e ad un ambiente casalingo salubre.

Chiaramente non esiste un criterio univoco che permette di distinguere con certezza le attività d’utilizzo della cosa comune consentite ai sensi dell’art. 1102 c.c. e quelle consentite solo previa autorizzazione assembleare ex art. 1136, V, c.c.; tuttavia, la presenza di eventuali interessi del singolo condomino aventi copertura e riconoscimento costituzionale rappresentano un buon indizio e un buon criterio discretivo. 



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